“L’uomo, strappato alla terra e alla natura
dalla civiltà delle macchine, ha sofferto nel profondo del suo animo e non
sappiamo nemmeno quante e profonde incisioni, quante dolorose ferite, quanti
irreparabili danni siano occorsi nel segreto del suo inconscio. Abbiamo
lasciata, in poco più di una generazione, una millenaria civiltà di contadini e
pescatori. Per questa civiltà, che è ancora la civiltà presente nel
Mezzogiorno, l’illuminazione di Dio era reale ed importante, la famiglia, gli
amici, i parenti, i vicini, erano importanti, gli alberi, la terra, il sole, il
mare, le stelle erano importanti. L’uomo operava con le sue mani, esercitando i
suoi muscoli, traendo direttamente dalla terra e dal mare i mezzi di vita.
Lo sconvolgimento di due guerre ha spinto
l’uomo definitivamente verso l’industria e l’urbanesimo. Esso ha strappato il
contadino alla terra e lo ha racchiuso nelle fabbriche, spinto non solo
dall’indigenza e dalla miseria, ma dall’ansia di una cultura che una falsa
civiltà aveva confinato nelle metropoli, negandole alle campagne del Sud.
Nacque così il mondo operaio del Nord in
cui la luce dello spirito appare talvolta attenuata, in cui la spinta per la
conquista di beni materiali ha in qualche modo corrotto l’uomo vero, figlio di
Dio, ricco del dono di amare la natura e la vita, che usava contemplare lo
scintillio delle stelle e amava il verde degli alberi, amico delle rocce e
delle onde, ove, tra silenzi e ritmi, le forze misteriose dello spirito
penetrano nell’anima per la presenza di Dio.
Abbiamo lottato e lotteremo sempre contro
questo immenso pericolo; l’uomo del Sud ha abbandonato soltanto ieri la civiltà
della terra: egli ha perciò in sé una immensa riserva di intenso calore umano.
Questo calore umano l’emigrante meridionale lo ha portato e donato in tutti i
paesi del mondo ed è un segno inconfondibile del contributo che l’Italia ha
dato alle civiltà d’Oltreoceano fecondate con un sacrificio in gran parte
misconosciuto.
Ed ecco perché in questa fabbrica
meridionale rispettando, nei limiti delle nostre forze, la natura e la
bellezza, abbiamo voluto rispettare l’uomo che doveva, entrando qui, trovare
per lunghi anni tra queste pareti e queste finestre, tra questi scorci visivi,
un qualcosa che avrebbe pesato, pur senza avvertirlo, sul suo animo. Perché
lavorando ogni giorno tra le pareti della fabbrica e le macchine e i banchi e
gli altri uomini per produrre qualcosa che vediamo correre nelle vie del mondo
e ritornare a noi in salari che sono poi pane, vino e casa, partecipiamo ogni
giorno alla vita pulsante della fabbrica, alle sue cose più piccole e alle sue
cose più grandi, finiamo per amarla, per affezionarci e allora essa diventa
veramente nostra, il lavoro diventa a poco a poco parte della nostra anima,
diventa quindi una immensa forza spirituale”.
Nessun commento:
Posta un commento