mercoledì 20 novembre 2013

Pepi Merisio

Chissà quanti bambini, nei secoli, hanno giocato nel quadriportico di Sant’Ambrogio, a Milano. Chissà quali giochi hanno visto giocare quegli archi di cotto, prima che la sola idea di bambini che giocano in un monumento diventasse scandalosa. Pepi Merisio ha fatto in tempo a vedere gli ultimi, e a fotografarli mentre cercano di far gol fra le colonne. “Sono un uomo fortunato” ammette, “ho visto la civiltà cambiare, dall’antico al moderno”. E il gioco, come ci spiegò Huizinga, è l’unica vera costante della civiltà: è la civiltà stessa.

“Non era difficile collezionare immagini di gioco. Si giocava ovunque. Giocavano tutti, adulti e bambini, sotto gli occhi di tutti. Era un mondo che sapeva ancora giocare”. E il tavolo da gioco erano le piazze austere e cariche di storia, le strade non ancora involgarite dalla benzina, i luoghi del lavoro ancora indulgenti.

Merisio racconta la storia, e la storia avanza prepotente nelle sue immagini, il gioco di città non è più il gioco di campagna, le carraie fra i campi si restringono nei cortili condominiali, poi il gioco si rifugia negli spazi istituzionali, consentiti, tollerati, i circoli, gli oratori. La civiltà ha messo il guinzaglio al gioco, cioè a se stessa.


Scopro tardi pepi Merisio e la sua fotografia, una fotografia perlopiù in bianco e nero che ci parla del passato, delle origini di ciò che siamo e mi appassiona vedere immagini ormai sopite sotto la patina della modernità. Guardo queste foto di bambini che giocano e in tutte mi riconosco bambino “in mezzo alla strada”, quella strada polverosa ma pulsante vita che ci ha fatto diventare uomini grandi.  







Nessun commento:

Posta un commento