Una
piccola riflessione dal forte sapore rivoluzionario pervade in questi giorni il
mio pensiero mentre leggo “Dalle lacrime di Sybille. Storia degli uomini che
inventarono la banca” di Amedeo Feniello (Ed. Laterza).
Quella
che si racconta in questo saggio è una storia accaduta realmente intorno al Quattrocentoi
e ha per protagonista una nobildonna della Provenza che ad un certo punto della
sua esistenza si vede spogliata di tutti i suoi averi a causa di alcune
transazioni bancarie degne dei nostri giorni. Praticamente si racconta della
creazione di ricchezza mediante ed esclusivamente ricchezza e che ha uno sbocco
conosciuto abbastanza bene oggi, ovvero il crac finanziario. Già all’epoca dei
fatti accadde che l’impiego del denaro al solo fine di moltiplicarlo a
dismisura provocò un enorme disastro portando alla povertà la povera Sybille
che circuita dai banchieri dell’epoca aveva messo i suoi averi nelle loro mani.
A nulla valsero le rimostranze della protagonista e nemmeno le leggi dell’epoca
(ma possiamo dire anche quelle odierne), che non riuscirono a risarcire almeno
in parte le perdite dovute ad una dissennata politica finanziaria. Addirittura
i maggiori ostacoli ad un degno risarcimento furono posti dalla magistratura
stessa che attraverso ripetuti espedienti valsero a protrarre il dibattimento
all’infinito senza mai arrivare ad una sentenza definitiva.
E
allora secondo il mio modesto parere, ed è questa l’idea che mi gira in testa,
quando non si riesce ad avere giustizia, nonostante la veridicità degli
accadimenti, e anzi chi è preposto a rappresentare la legge fa di tutto per
giustificare le nefandezze e alterare la verità, non rimane altro che praticare
la ribellione violenta ed eliminare le male piante e le loro leggi.
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