Efraim Medina Reyes è uno dei più geniali e
innovativi scrittori contemporanei e non so quanto giusta sia la definizione
che la critica dà di questo autore, definendolo appunto “il Bukowski
colombiano”. Poliedrico cultore della cultura tutta (alta o bassa che sia),
Reyes è scrittore, regista, poeta, musicista, teatrante; personalmente lo seguo
sin dai suoi esordi come scrittore, quando già lasciava presagire una certa
avversione alla letteratura classica sudamericana e colombiana in modo
particolare attraverso una prosa del tutto originale e apparentemente
scollegata dalla realtà (almeno quella canonica) e che faceva invece il verso a
quella “generazione zero” della contemporanea letteratura americana (Bret
Easton Ellis su tutti). Ecco forse l’autore colombiano è da annoverare in quel
canone letterario che prevede una scrittura senza controllo e tematiche
generazionali fino a qualche decennio fa poco battute dai grandi autori della
letteratura. Se vogliamo un modo di scrivere e di raccontare storie spiazzante
per il lettore che si trova immerso in un frullato di situazioni e descrizioni
a volte incomprensibili; però è anche questo segno dei tempi, di una società
liquida che ha prodotto una cultura multimediale con salti interpretativi che
spaziano in tutte le forma di arte conosciuta. In fondo basta leggere i titoli
dei romanzi di Reyes per accorgersi di trovarsi in una zona di nonsense
apparente e che invece descrive nuove realtà mai battute prima: “C’era una
volta l’amore ma ho dovuto ammazzarlo” (2002), “Tecniche di masturbazione tra
Batman e Robin” (2004), “La sessualità della Pantera Rosa” (2006) sono i titoli
che precedono il suo ultimo lavoro “Quello che ancora non sai del pesce
ghiaccio” (2013).
Ecco questo suo ultimo libro “Quello che
ancora non sai del pesce ghiaccio” può essere considerato un thriller
filosofico in cui l’autore attraverso peripezie linguistiche e descrizioni di
accadimenti (ir)reali cerca di rappresentare la crisi di identità che
attanaglia l’essere umano di oggi, una crisi frutto diretto della crisi globale
che attraversa il mondo intero. Una metafora sull’incomunicabilità odierna del
genere umano, la dove servirebbe invece un dialogo forte e profondo per
risolvere i problemi che attanagliano il mondo d’oggi. Con questo testo Efraim
Medina Reyes sembra volerci dire che viviamo come pesci in un acquario:
parliamo senza dire niente e l’unica nostra attività sembra essere drogarci di
consumismo. Il protagonista di questa storia prende atto che non può sempre sfuggire
alle responsabilità che lo inchiodano ad essere persona calata nella società e
necessariamente deve mettersi in gioco attraverso l’esplorazione degli altri.
Teo (questo il nome del protagonista) è un
ragazzo sulla trentina che soffre di una allergia agli agenti esterni e per
questo deve stare chiuso nella sua stanza, un microcosmo simile alle tante
stanze degli adolescenti odierni. Teo vive con la madre abbandonata per ben sei
volte dal padre (l’illogicità di Reyes) e con un fratello minore ben inserito
nella società dei media. L’unico appiglio alla realtà reale di Teo è Vlues (un
ritratto femminile degno di un Oscar) che condivide con lui ossessioni e
erotismo (anche su quest’ultimo tema ci sarebbe molto da discutere, basti dire
che l’erotismo dei due è un erotismo stravagante ma che può fare proseliti nel
mondo d’oggi; leggere per credere). Teo riesce solo a passeggiare di notte
quando la luce del sole è ormai sparita e in una delle sue passeggiate notturne,
sorpreso da un acquazzone, si rifugia in un misterioso bar “Il Pesce Ghiaccio”
appunto. Qui conosce Lena una femme fatale (altra descrizione di personaggio
femminile meritoria di premio) con cui nell’arco di una notte imbastisce una
ambigua relazione amorosa. Da questo punto in poi Teo si troverà ad affrontare
un viaggio iniziatico in un mondo inverosimile ma che più reale di così non può
esistere: napoletani cocainomani, cinesi omosessuali, artisti patetici,
poliziotti violenti. Un grand guignol sfaccettato della natura umana dove
ognuno di noi può trovare l’incubo che da una vita lo assale. E qui sta tutta
la bravura dello scrittore colombiano.
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