Consiglio vivamente a tutta quella schiera
di ragazzini adolescenti che in questi giorni stanno riempiendo le sale
cinematografiche armati di secchielli di pop corn, bustoni di patatine e della
consueta maleducazione che li accomuna quando sono in gruppo, per ridere
sguaiatamente alle battute di Checco Zalone e del suo “Sole a catinelle” (che
peraltro è anche un film piacevole se si vogliono trascorrere un paio di ore in
allegria) di armarsi di buona volontà e andare a vedere “L’ultima ruota del
carro”: un film che può rivelargli molto degli ultimi 50 anni della storia di
questo Paese.
E’ il film più audace e certamente quello
più riuscito di Giovanni Veronesi che racconta la vita vera di Ernesto Fioretti
figlio di tappezziere romano, tifoso della Roma, bambino, poi
ragazzo, poi uomo e infine anziano per nulla diverso da qualsiasi altro
italiano della sua età, attraversa 50 anni di storia del paese tra fatti
personali e sociali: dominio e fine dei socialisti, ascesa berlusconiana, sogni
di gloria di amici che non disdegnano di sporcarsi le mani o rifiutano di
lavorare, amore sincero per la compagna di una vita e inevitabili
malattie.
Il
racconto di questa esistenza e delle vicissitudini del nostro Paese prende
avvio con le immagini virate seppia degli anni sessanta quelle del boom
economico di quando tutti sembravano (e lo erano) felici e prosegue con la
“notte della Repubblica” sullo sfondo (fa impressione rivedere quelle immagini
di repertorio in bianco e nero del ritrovamento del cadavere di Aldo Moro), poi
gli anni del disimpegno, il trionfo del socialismo all’acqua di rose di Bettino
Craxi (anche in questo caso l’uscita del leader socialista dall’Hotel Raphael e
le monetina che gli arrivano in faccia fanno ancora il loro effetto) e
l’avvento dell’uomo della provvidenza Silvio Berlusconi e il suo Forza Italia
(l’Italia tutta tappezzata di manifesti del presidente operaio et simili) per
arrivare alla vecchiaia di Fioretti e a quella del nostro Paese.
Intendiamoci
questo non è un film politico, tantomeno vuole essere una ricerca intellettuale
sulle molte fasi politiche ed economiche che abbiamo vissuto nell’ultimo
cinquantennio. Quello appena descritto è lo sfondo dove si muovono i personaggi
di Veronesi e dove prende corpo la vita degli uomini qualunque, uomini che non
hanno fattezze intellettuali (ad eccezione del “Maestro” una figura tutta da
scoprire e forse per merito di Alessandro Haber quella più riuscita) e anzi
sono calati nel più popolare (e forse populistico) atteggiamento di sempre (le
partite di calcio, la vittoria dell’Italia ai Mondiali di Spagna 82, le varie
formazioni della Roma che si susseguono durante il corso degli anni). L’occhio
del regista indaga più che i paradigmi sociologici, la condizione umana dei
personaggi e in particolar modo la semplicità degli ultimi, di quelli che non
hanno voce in capitolo, che ogni giorno si trovano a dover lottare in questa
Italia di arraffoni e buffoni.
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