martedì 24 dicembre 2013

La vigilia di Natale

Gli orologi avevano appena battuto le tre, ma faceva già buio: non c’era stata luce durante l’intera giornata. Il freddo penetrava, mordeva, tagliava i visi. Il genio del freddo sedeva sulla soglia delle case in cupa meditazione. La nebbia penetrava da ogni fessura, da ogni buco di serratura, ed era tanto fitta che le case apparivano come fantasmi. Qualcuno andava in giro con le torce accese, per indicare la strada ai cavalli delle carrozze. La vecchia torre della chiesa diventò invisibile, e batté tra le nuvole le ore e i quarti con rintocchi prolungati e tremuli. Tutto era spettro, fantasma, figura stregata: gli spettri si congiungevano e si moltiplicavano, per minacciare definitivamente la vigilia di Natale.
La vigilia di Natale diventò un paesaggio di negozi, di cucine, di fuoco, di riso, di fantasia. I negozi da pollivendolo erano aperti a metà, mentre quelli dei fruttivendoli raggiavano in tutto il loro splendore. Gli occhi dei passanti penetravano nelle cucine natalizie, dove si estendeva una luminosa collezione di coperchi lucenti, padelle pulitissime, lucidi scaldavivande, pentole splendenti.

Nel caminetto il fuoco prese vigore, e bruciava alto e chiaro. Era il genio della cucina. Scoppiettava scintillando; a volte ruggiva come se volesse fare musica anche lui; a volte fiammeggiava, ammiccava, scherzava sui ciuffi di agrifoglio; a volte il suo ardore si faceva turbolento, passava ogni limite, e con un sonoro fracasso buttava nella stanza una pioggia di innocue scintille, e nella sua esultanza saltava e ballava come un pazzo su per il largo, vecchio caminetto. Una calda luce rossastra imporporava la sala; e se il cuoco attizzava il fuoco il cuore di tutti si inteneriva.  


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