venerdì 28 febbraio 2014

giovedì 27 febbraio 2014

Sotto una buona stella





















Si può riflettere su quanto ci sta accadendo intorno anche attraverso la comicità e a ragion veduta oggi la satira è il veicolo principale di interazione per ragionare sugli accadimenti sociali del nostro tempo. “Sotto una buona stella” ultimo lavoro cinematografico del poliedrico Carlo Verdone è uno di quei film dove, nonostante alcune pause verso il basso, si possono trovare elementi di discussione attraverso il sorriso.

Tutto ha inizio con la crisi economica (e il malaffare di uomini senza scrupoli) che stiamo attraversando: infatti il protagonista di questa commedia tal Federico Picchioni è un uomo di affari di successo (con tutto ciò che la definizione comporta: separato con due figli da mantenere, un’amante di lusso e del lusso, sballottato fra i mille impegni lavorativi e mondani per cui le 24 ore della giornata non bastano mai) che lavora per una holding finanziaria. I guai cominciano quando la holding va in crisi per alcune operazioni finanziarie poco trasparenti del capo e contestualmente la ex moglie del Picchioni passa a miglior vita. A questo punto il protagonista necessariamente deve accogliere nella lussuosa dimora concepita secondo gli stilemi del lusso della sua amante i due figli; da qui lo stravolgimento che porterà ad un cambiamento di rotta nella vita del nostro. (In questo contesto altri fattori di riflessione vengono proposti: i giovani con lavori precari o addirittura senza lavoro costretti a vivere a lungo con i genitori – e che da qualche privilegiato vengono definiti bamboccioni -, la famiglia allargata, la gravosa responsabilità di un unico genitore che deve crescere da solo un figlio – già la figlia del protagonista è mamma di una bambina nata da una precedente relazione -).

Primo cambiamento: l’amante Gemma, che come tutte le amanti ama non la persona ma la materialità della stessa vedendosi scavalcata dalle necessità umane, preferisce lasciare Federico per continuare la “bella vita” da qualche altra parte (lo capiremo in una scena a metà del film) e conseguente cambiamento l’entrata in scena di Luisa Tombolini, una “tagliatrice di teste” tormentata dal senso di colpa per il cinismo del suo mestiere, che viene ad abitare di fianco all’appartamento del Picchioni. In tal contesto si evince un senso di solitudine che pervade i due, ognuno affaccendato nelle proprie problematiche. La scommessa a questo punto è riuscire a raggiungere l’armonia reciproca di queste due solitudini.


Attraverso un mix di situazioni implausibili e sentimenti autentici, farsa e malinconia mescolando realtà e parodia, Verdone riesce a darci uno spaccato della società contemporanea. “Sotto una buona stella” si pone come termometro di uno stato di malessere diffuso nel Paese e Verdone, pare voglia essere il cantore principe del disagio che attanaglia le “anime buone”. Un a nota di merito va anche a Paola Cortellesi che interpreta l’improbabile “tagliatrice di teste” come collante fra i componenti della famiglia Picchioni. Riesce in tal senso ad esprimere satira e ribollente rabbia sociale che sono il fine ultimo di questa pellicola.  



Almanacco 2014

“Dall’adolescenza puoi guarire o farti fottere per sempre”.


JAVIER CERCAS


mercoledì 26 febbraio 2014

The Wolf of Wall Street




















Fermo restando che quando si parla di “The Wolf of Wall Street” si parla di una grande film che ha la possibilità, fra qualche giorno, di essere insignito di diversi Oscar, bisogna ammettere però che la storia di Jordan Belfort con le sue reali vicissitudini è una storia già sentita e forse meglio raccontata in letteratura da quel genio di Bret Easton Ellis in “Glamorama”: libro targato anni novanta dove si raccontava della Wall Street avida e dei loschi personaggi che ci girano intorno.

Il film di Martin Scorsese magistralmente interpretato (qualche dubbio su alcune scene sopra le righe) da Leonardo DiCaprio racconta proprio il mondo dei broker con le loro vite “disadattate”. Soldi a palate, senza che ne venga carpito il senso ultimo del denaro in relazione al lavoro, droghe a chili, orge, maschi che urlano, abituati ad urlare in qualsiasi momento e per qualsiasi accadimento, nani lanciati contro il bersaglio per divertimento e soprattutto donne viste come carne da macello: mogli trofeo e prostitute classificate come azioni con su in alto le Blue Chips (escort di altissimo livello) e in fondo i titoli meno allettanti (le prostitute di strada) e dunque meno cari.

“The Wolf of Wall Street” in simbiosi con altri film sullo stesso tema ma con una visionarietà insuperabile, racconta come i soldi facili si accumulano senza nessuna fatica, gabbando gli esseri umani più sprovveduti; come gli stessi soldi si portano con il trolley nelle banche svizzere con la compiacenza degli gnomi della finanza d’oltralpe e soprattutto come si dilapidano attraverso il fascino del lusso e della degenerazione. Il tutto è raccontato dal punto di vista del protagonista, truffatore sin da piccolo con un unico sogno coltivato: quello di diventare ricco a tutti i costi. Magistrale la scena in cui Jordan Belfort agli inizi della sua carriera viene istruito da un maestro del brokeraggio: un dialogo spassoso per eccessi alcolici e consigli antistress.


Senza entrare nel merito dell’autobiografia del protagonista che qui viene spezzettata in una sequenza di gag brillantissime, possiamo dire che l’intero film è uno sfrenato e lussuoso calderone messo in scena e recitato con il massimo della sfrontatezza. Forse l’unica nota stonata è l’eccessiva durata del tutto; per raccontarci le storture di Wall Street e dei suoi uomini bastava forse una durata minore. 


    


Almanacco 2014

“Ingratitudine, demonio dal cuore di marmo, ancor più orrenda di quanto lo sia il mostro del mare!”


Shakespeare