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domenica 22 dicembre 2013

Povero Sud!

Leggere “Quintino Sella. Ministro delle Finanze” di Fernando Salsano (Ed. Il Mulino) porta inevitabilmente ad alcune riflessioni, fra cui le più interessanti a mio modo di vedere sono due: una riguarda la tassazione delle classi meno agevoli di questo Paese, l’altra su un’opinione piuttosto frequente ma sbagliata sul “peso economico” del Sud riguardo le finanze dell’intera nazione.
“Immaginate un Paese la cui economia non cresce mentre cresce il debito pubblico. I suoi governi sono incalzati dai creditori esteri, i giovani intraprendenti emigrano, la politica è rissosa, il giornalismo spesso stridulo, l’ordine pubblico precario. Per far passare le leggi finanziarie occorre fare ricorso a un unico “maxiemendamento” e per far quadrare il bilancio si parla di vendere beni pubblici. No, non si tratta dell’Italia di oggi, bensì di quella di 150 – 120 anni fa: per quanto una certa retorica patriottica abbia cercato di minimizzare, i primi decenni dell’unità furono chiaramente un disastro economico nel quale molte delle speranze di una rapida crescita andarono deluse”.
Si legge che per risollevare le finanze dello stato, Quintino Sella all’epoca ministro non trovò di meglio che tassare il macinato, colpendo così fortemente il tenore di vita dei meno abbienti e dei ceti rurali. “La vera tassa sul povero – è scritto in un discorso sul dazio sul macinato riportato da Salsano – sta nella sfiducia”, intendendo la sfiducia nel capitale che “si nasconde” anziché finanziare investimenti . Come dire la storia si ripete sempre alla stessa maniera.
Ancor più interessante è apprendere che il debito pubblico (per cui le tasse sui poveracci e ricordiamolo ceti rurali e meno abbienti erano categorie prevalenti al Sud) del nascente Stato unitario era dato  da “il cospicuo debito del Regno di Sardegna, contratto per le due prime guerre di indipendenza, dal debito ereditato dagli stati pre-unitari, in particolare dello stato pontificio nel 1870; per non parlare delle continue richieste di fondi da parte della politica per finanziare il completamento dell’avventura risorgimentale”.

Per definire questa situazione nei riguardi del meridione, si può usare una colorita enunciazione: cornuti e mazziati!   

giovedì 12 dicembre 2013

Sud Sud Sud

Sono meridionale, amo il sud e pur vivendo da decenni a nord di questo Paese non ho dimenticato le mie origini che difendo a denti stretti. Chi mi conosce sa che spesso sono stato molto critico con il modo di essere delle genti del nord e indulgente con quelle del sud; è il mio modo di sentirmi meridionale in questa terra straniera che non sento per niente mia. Questo però non significa che in alcuni casi possa criticare il meridione per il suo approccio alla partecipazione del Paese (specialmente in questo momento), ed è il caso derivante dalla lettura dell’ultimo libro di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella “Se muore il Sud. Fra le tante cifre e statistiche che i due saggisti propinano nel loro testo, salta all’attenzione del lettore di come il costo della politica delle regioni meridionali è sproporzionato rispetto a quelle del settentrione. Purtroppo bisogna ammettere che la situazione è veritiera e che difficile poter giustificare le malefatte dei politici locali (“Una classe dirigente seria, davanti a numeri così, si nasconderebbe per la vergogna in uno sgabuzzino”). Detto questo e riconosciuto la pessima gestione socio-economica-politica di regioni come la Sicilia, la Calabria, la Campania, voglio però soffermarmi sull’operato del Movimento 5 Stelle che nell’ultima campagna elettorale ci aveva illusi su una “rivoluzione” possibile.


In Sicilia, ad esempio, il movimento di Grillo e Casaleggio ha trionfato nelle regionali del 2012 con la promessa che avrebbe dato battaglia per eliminare lo squilibrio esistente tra la casta e i semplici cittadini. Purtroppo ad oggi niente di tutto ciò è accaduto (come del resto a livello nazionale): i 15 parlamentari grillini presenti nell’assemblea regionale siciliana hanno potuto compiere solo un gesto simbolico, la restituzione di parte del loro compenso pari a 5.000 euro ciascuno da usare come fondo per il microcredito. Più di questo non hanno potuto e la cosa mi dispiace, allo stesso modo mi dispiace che non sono stati in grado a livello nazionale di mettere in pratica le promesse fatte in campagna elettorale. Dopo la vittoria, dai grillini e dai loro capi, mi aspettavo un sommovimento concreto e deciso per cambiare la nostra classe dirigente e le brutte abitudini di tutti noi italiani. Purtroppo così non è stato e lo dimostra proprio l’operato nelle regioni meridionali, luoghi in cui forse è più urgente una azione dura e pesante da parte di chi vuol fare piazza pulita del marciume che permea l’Italia.