.........Penso
che le persone migliori, quelle per cui ne vale sempre la pena, siano quelle
che purtroppo si perdono dietro ad amori impossibili..... che impazziscono per
qualcuno che non le amerà mai, che ad essere felici ci hanno provato una volta
o due e poi hanno smesso, perché tanto la felicità non è roba per loro.... Le
persone migliori sono quelle che vanno convinte, sono quelle che al primo “ti
amo” non credono mai, sono quelle che lo sanno che innamorarsi non è da tutti e
per un’ora d’amore sacrificherebbero anni di vita..... Le persone migliori non
si lasciano impressionare dai complimenti, dal sesso, dai grandi gesti..... Le
persone migliori si innamorano per motivi assurdi, ‘ché a raccontarli gli viene
da sorridere.... Penso che le persone migliori soffrano tanto per essere quello
che sono.....
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sabato 14 dicembre 2013
martedì 10 dicembre 2013
Ipse Dixit - Antonio Tabucchi
“La fotografia è la morte perché fissa l’attimo irripetibile.
Si passò la fotografia fra le dita, proprio come se fosse un gioco di carte, e
continuò: ma poi mi chiedo ancora: e se invece fosse la vita?, la vita con la
sua immanenza e la sua perentorietà che si lascia sorprendere in un attimo e ci
guarda con sarcasmo, perché è lì, fissa, immutabile, e invece noi viviamo nella
mutazione, e allora penso che la fotografia, come la musica, coglie l’attimo
che non riusciamo a cogliere, ciò che siamo stati, ciò che avremmo potuto
essere, e contro questo attimo non c’è niente da fare, perché ha più ragione di
noi, ma ragione di che cosa?, forse ragione del cambiamento di questo fiume che
scorre e che ci trascina, e dell’orologio, del tempo che ci domina e che noi
cerchiamo di dominare. Fece un’altra delle sue piccole pause, tirò una boccata
di fumo e continuò: la vita contro la vita, la vita nella vita, la vita sulla
vita?, forse, è un enigma che lascio a lei che guarda questa fotografia”.
lunedì 9 dicembre 2013
Ipse Dixit - Antonio Tabucchi
“Mi faceva discorsi strani. Mi diceva: i grandi si trovano
sempre un amante, papà, chissà, si è trovato magari un’amante a Parigi, la
mamma invece si è trovata un amante ideale, ma non avrebbe mai il coraggio di
farci all’amore, perché lui è un prete che pensa solo ai farisei, secondo me
quel prete è un perfetto cretino. E io le dicevo: Isabel, una ragazzina come te
non deve fare questi discorsi. E lei mi rispondeva: Bi, tu sei vissuta sempre
con noi e sono sicura che non hai mai conosciuto un uomo, non hai mai avuto un
amante, ma io, quando verrà il momento, mi troverò un amante, mi sceglierò un
uomo presuntuoso, come li conosce la mamma, lo farò innamorare pazzamente di me
e lo farò morire di dispiacere. E io le dicevo: non mi devi dire queste cose,
tu sei una ragazzina, queste cose sono da grandi, tu sei la mia piccina, non
pensare a queste cose, Isabel. E lei insisteva: non è vero, sono quasi grande,
mi troverò un amante e lo farò morire di dispiacere. Ecco, questa era la mia
Isabel”.
mercoledì 4 dicembre 2013
Vita di merda
“Io, devo ammettere, continuo a pensare che se uno parla di
ceti e non di classi, di confronto e non di lotta, di capitalismo selvaggio e
non del capitale puro e semplice che per sua natura tende sempre,
spietatamente, al massimo profitto, sta ingannando gli altri e forse anche se
stesso. Che i pochi arraffino tutto e i molti tirino avanti con le briciole,
non è una distorsione di sistema e nemmeno un effetto della crisi. La crisi
rende solo evidente che la vita di merda dei più può diventare ancora più di
merda”.
Domenico Starnone
martedì 3 dicembre 2013
Adriano Olivetti - Ai lavoratori
“L’uomo, strappato alla terra e alla natura
dalla civiltà delle macchine, ha sofferto nel profondo del suo animo e non
sappiamo nemmeno quante e profonde incisioni, quante dolorose ferite, quanti
irreparabili danni siano occorsi nel segreto del suo inconscio. Abbiamo
lasciata, in poco più di una generazione, una millenaria civiltà di contadini e
pescatori. Per questa civiltà, che è ancora la civiltà presente nel
Mezzogiorno, l’illuminazione di Dio era reale ed importante, la famiglia, gli
amici, i parenti, i vicini, erano importanti, gli alberi, la terra, il sole, il
mare, le stelle erano importanti. L’uomo operava con le sue mani, esercitando i
suoi muscoli, traendo direttamente dalla terra e dal mare i mezzi di vita.
Lo sconvolgimento di due guerre ha spinto
l’uomo definitivamente verso l’industria e l’urbanesimo. Esso ha strappato il
contadino alla terra e lo ha racchiuso nelle fabbriche, spinto non solo
dall’indigenza e dalla miseria, ma dall’ansia di una cultura che una falsa
civiltà aveva confinato nelle metropoli, negandole alle campagne del Sud.
Nacque così il mondo operaio del Nord in
cui la luce dello spirito appare talvolta attenuata, in cui la spinta per la
conquista di beni materiali ha in qualche modo corrotto l’uomo vero, figlio di
Dio, ricco del dono di amare la natura e la vita, che usava contemplare lo
scintillio delle stelle e amava il verde degli alberi, amico delle rocce e
delle onde, ove, tra silenzi e ritmi, le forze misteriose dello spirito
penetrano nell’anima per la presenza di Dio.
Abbiamo lottato e lotteremo sempre contro
questo immenso pericolo; l’uomo del Sud ha abbandonato soltanto ieri la civiltà
della terra: egli ha perciò in sé una immensa riserva di intenso calore umano.
Questo calore umano l’emigrante meridionale lo ha portato e donato in tutti i
paesi del mondo ed è un segno inconfondibile del contributo che l’Italia ha
dato alle civiltà d’Oltreoceano fecondate con un sacrificio in gran parte
misconosciuto.
Ed ecco perché in questa fabbrica
meridionale rispettando, nei limiti delle nostre forze, la natura e la
bellezza, abbiamo voluto rispettare l’uomo che doveva, entrando qui, trovare
per lunghi anni tra queste pareti e queste finestre, tra questi scorci visivi,
un qualcosa che avrebbe pesato, pur senza avvertirlo, sul suo animo. Perché
lavorando ogni giorno tra le pareti della fabbrica e le macchine e i banchi e
gli altri uomini per produrre qualcosa che vediamo correre nelle vie del mondo
e ritornare a noi in salari che sono poi pane, vino e casa, partecipiamo ogni
giorno alla vita pulsante della fabbrica, alle sue cose più piccole e alle sue
cose più grandi, finiamo per amarla, per affezionarci e allora essa diventa
veramente nostra, il lavoro diventa a poco a poco parte della nostra anima,
diventa quindi una immensa forza spirituale”.
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