martedì 3 dicembre 2013

Adriano Olivetti - Ai lavoratori

“L’uomo, strappato alla terra e alla natura dalla civiltà delle macchine, ha sofferto nel profondo del suo animo e non sappiamo nemmeno quante e profonde incisioni, quante dolorose ferite, quanti irreparabili danni siano occorsi nel segreto del suo inconscio. Abbiamo lasciata, in poco più di una generazione, una millenaria civiltà di contadini e pescatori. Per questa civiltà, che è ancora la civiltà presente nel Mezzogiorno, l’illuminazione di Dio era reale ed importante, la famiglia, gli amici, i parenti, i vicini, erano importanti, gli alberi, la terra, il sole, il mare, le stelle erano importanti. L’uomo operava con le sue mani, esercitando i suoi muscoli, traendo direttamente dalla terra e dal mare i mezzi di vita.
Lo sconvolgimento di due guerre ha spinto l’uomo definitivamente verso l’industria e l’urbanesimo. Esso ha strappato il contadino alla terra e lo ha racchiuso nelle fabbriche, spinto non solo dall’indigenza e dalla miseria, ma dall’ansia di una cultura che una falsa civiltà aveva confinato nelle metropoli, negandole alle campagne del Sud.
Nacque così il mondo operaio del Nord in cui la luce dello spirito appare talvolta attenuata, in cui la spinta per la conquista di beni materiali ha in qualche modo corrotto l’uomo vero, figlio di Dio, ricco del dono di amare la natura e la vita, che usava contemplare lo scintillio delle stelle e amava il verde degli alberi, amico delle rocce e delle onde, ove, tra silenzi e ritmi, le forze misteriose dello spirito penetrano nell’anima per la presenza di Dio.
Abbiamo lottato e lotteremo sempre contro questo immenso pericolo; l’uomo del Sud ha abbandonato soltanto ieri la civiltà della terra: egli ha perciò in sé una immensa riserva di intenso calore umano. Questo calore umano l’emigrante meridionale lo ha portato e donato in tutti i paesi del mondo ed è un segno inconfondibile del contributo che l’Italia ha dato alle civiltà d’Oltreoceano fecondate con un sacrificio in gran parte misconosciuto.

Ed ecco perché in questa fabbrica meridionale rispettando, nei limiti delle nostre forze, la natura e la bellezza, abbiamo voluto rispettare l’uomo che doveva, entrando qui, trovare per lunghi anni tra queste pareti e queste finestre, tra questi scorci visivi, un qualcosa che avrebbe pesato, pur senza avvertirlo, sul suo animo. Perché lavorando ogni giorno tra le pareti della fabbrica e le macchine e i banchi e gli altri uomini per produrre qualcosa che vediamo correre nelle vie del mondo e ritornare a noi in salari che sono poi pane, vino e casa, partecipiamo ogni giorno alla vita pulsante della fabbrica, alle sue cose più piccole e alle sue cose più grandi, finiamo per amarla, per affezionarci e allora essa diventa veramente nostra, il lavoro diventa a poco a poco parte della nostra anima, diventa quindi una immensa forza spirituale”. 


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