martedì 19 novembre 2013

L'ultima ruota del carro



Consiglio vivamente a tutta quella schiera di ragazzini adolescenti che in questi giorni stanno riempiendo le sale cinematografiche armati di secchielli di pop corn, bustoni di patatine e della consueta maleducazione che li accomuna quando sono in gruppo, per ridere sguaiatamente alle battute di Checco Zalone e del suo “Sole a catinelle” (che peraltro è anche un film piacevole se si vogliono trascorrere un paio di ore in allegria) di armarsi di buona volontà e andare a vedere “L’ultima ruota del carro”: un film che può rivelargli molto degli ultimi 50 anni della storia di questo Paese.

E’ il film più audace e certamente quello più riuscito di Giovanni Veronesi che racconta la vita vera di Ernesto Fioretti figlio di tappezziere romano, tifoso della Roma, bambino, poi ragazzo, poi uomo e infine anziano per nulla diverso da qualsiasi altro italiano della sua età, attraversa 50 anni di storia del paese tra fatti personali e sociali: dominio e fine dei socialisti, ascesa berlusconiana, sogni di gloria di amici che non disdegnano di sporcarsi le mani o rifiutano di lavorare, amore sincero per la compagna di una vita e inevitabili malattie.  

Il racconto di questa esistenza e delle vicissitudini del nostro Paese prende avvio con le immagini virate seppia degli anni sessanta quelle del boom economico di quando tutti sembravano (e lo erano) felici e prosegue con la “notte della Repubblica” sullo sfondo (fa impressione rivedere quelle immagini di repertorio in bianco e nero del ritrovamento del cadavere di Aldo Moro), poi gli anni del disimpegno, il trionfo del socialismo all’acqua di rose di Bettino Craxi (anche in questo caso l’uscita del leader socialista dall’Hotel Raphael e le monetina che gli arrivano in faccia fanno ancora il loro effetto) e l’avvento dell’uomo della provvidenza Silvio Berlusconi e il suo Forza Italia (l’Italia tutta tappezzata di manifesti del presidente operaio et simili) per arrivare alla vecchiaia di Fioretti e a quella del nostro Paese.

Intendiamoci questo non è un film politico, tantomeno vuole essere una ricerca intellettuale sulle molte fasi politiche ed economiche che abbiamo vissuto nell’ultimo cinquantennio. Quello appena descritto è lo sfondo dove si muovono i personaggi di Veronesi e dove prende corpo la vita degli uomini qualunque, uomini che non hanno fattezze intellettuali (ad eccezione del “Maestro” una figura tutta da scoprire e forse per merito di Alessandro Haber quella più riuscita) e anzi sono calati nel più popolare (e forse populistico) atteggiamento di sempre (le partite di calcio, la vittoria dell’Italia ai Mondiali di Spagna 82, le varie formazioni della Roma che si susseguono durante il corso degli anni). L’occhio del regista indaga più che i paradigmi sociologici, la condizione umana dei personaggi e in particolar modo la semplicità degli ultimi, di quelli che non hanno voce in capitolo, che ogni giorno si trovano a dover lottare in questa Italia di arraffoni e buffoni.      

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